Il Rapporto Mondiale OIL sui salari 2025-26 recentemente uscito è uno strumento indubbiamente utile soprattutto in un paese come il nostro, nel quale la forza lavoro e i suoi processi organizzativi godono di sempre minore attenzione mediatica.
In Italia i salari reali sono inferiori dell’8,7% rispetto a quelli del 2008. Mentre in alcuni paesi del G20 i salari crescevano, i nostri perdevano potere di acquisto: sarebbe sufficiente questo dato a confutare luoghi comuni e facili ottimismi sulla ripresa economica del Bel Paese.
In riferimento solo agli ultimissimi anni, il vistoso calo del 2022 e del 2023 (rispettivamente –3,3% e –3,2%) non viene minimamente compensato dal lieve aumento registrato nel 2024 (+2,3%). Eppure la retorica governativa e la stampa ad essa vicina non perdono l’occasione per trasmettere messaggi fuorvianti. Ci si chiede se gli estensori di questi peana al Governo siano mai andati a fare la spesa o a pagare delle bollette, perché in tal caso avrebbero avuto cognizione del costo della vita e della inadeguatezza dei salari odierni a fronteggiarlo.
Sul finire del luglio 2024 “il Giornale” pubblicava un articolo (potremmo menzionarne a decine) dal titolo trionfalistico (“I salari crescono e battono l’inflazione. Si riduce la distanza con il resto d’Europa”[1]), affidandosi a un docente bocconiano per asserire che il solo modo per favorire la crescita salariale è quella della contrattazione collettiva, con buona pace dello sterile dibattito sul salario minimo. Insomma, la sola preoccupazione dei settori padronali e del centro destra è quella di evitare il salario minimo, la cui applicazione metterebbe fuori gioco svariati contratti nazionali siglati con paga oraria inferiore a un ipotetico costo sotto il quale non scendere.
Nel Rapporto dell’Oil vi sono numerosi grafici, associati a uno studio accurato su come si sono evoluti i salari reali a livello globale. In termini generali, le economie avanzate registrano un calo degli stessi, laddove nei paesi emergenti se ne è registrata la crescita costante nel corso del tempo. Il che, per certi versi, potrebbe rimandare a un mutamento dei rapporti di forza su scala planetaria, nonché a eventuali dinamiche conflittuali, diffuse nelle economie emergenti e poco note e studiate dalle nostre parti. Ma torniamo al nostro paese. In Italia, per un buon quindicennio, si è registrata una bassa produttività, ma negli ultimi due anni qualcosa è cambiato. La produttività è cresciuta, più dei salari, tanto che alcuni giornali parlano delle condizioni oggettive per aumentare sensibilmente le retribuzioni, criticando inoltre l’attuale modello di contrattazione. Ed è proprio su questo che bisogna spendere alcune parole, poiché se continueremo a fare riferimento allo stesso indice d’inflazione, l’Ipca, calcolato al netto dei prezzi dei beni energetici importati, non andremo lontano. L’Ipca, appunto, non copre «una delle voci che ha gravato di più sui bilanci familiari»[2] ossia il rincaro dei prodotti energetici. Però, per buona parte del sindacato la soluzione resta quella di affidarsi alla contrattazione di secondo livello, che riguarda solo grandi e medie aziende ed esclude molte imprese di piccole dimensioni, dove non è presente il sindacato.
Per farsi un’idea del desolante quadro sindacale basta leggere le dichiarazioni di Daniela Fumarola, che ha festeggiato la sua designazione a Segretaria Generale della Cisl rilasciando un’intervista al quotidiano la Repubblica[3], ove invoca di «rimanere nell’alveo della contrattazione e delle relazioni sindacali». Non solo, a suo dire una legge sul salario minimo «rischierebbe fortemente di schiacciare i salari verso il basso». Eppure basterebbe citare importanti studi di matrice istituzionale per smentire queste parole.
Per dire, nel luglio 2023 si è parlato di una ricerca della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, relativa a 63 contratti collettivi firmati da Cgil, Cisl e Uil, scelti in virtù della loro rappresentatività. Bene, dalla ricerca è emerso che, tra di essi, «ben 22, ovvero oltre un terzo, prevedono una retribuzione oraria al di sotto dei 9 euro lordi (con inclusi TFR, tredicesima e quattordicesima mensilità)»[4]. Dunque, Fumarola non dorme la notte al pensiero del ribasso delle retribuzioni, ma dimentica che il suo sindacato (e non solo il suo) ha contribuito a far scendere proprio quelle retribuzioni ben al di sotto di quanto previsto nelle proposte di salario minimo legale.
Anche attorno ai 5,6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta si producono molti bei discorsi, senza mai affrontare tuttavia una situazione di crisi sociale ed economica sempre più fuori controllo. E intanto non solo grandi sindacati ma anche alcune forze politiche, oggi all’opposizione, si affidano a roboanti parole per toccare occasionalmente le tematiche sociali. Il punto è che tali questioni non possono essere affrontate separatamente.
Nel Rapporto emerge anche una notevole differenza tra i salari dei lavoratori autoctoni e quelli immigrati. I secondi, rispetto ai primi, percepiscono retribuzioni inferiori del 26,3%: una divaricazione rilevante e anche preoccupante, che può essere contrastata solo in un discorso generale, tale da porre al centro la questione salariale e la lotta contro tutte le diseguaglianze e discriminazioni. Mai come oggi tale battaglia complessiva deve emanciparsi da una pericolosa illusione, rilanciata con vigore dalla Cisl e rimodulata in termini più sfumati da Cgil e Uil: quella per cui l’erosione salariale e la costante perdita di diritti possono essere frenate attraverso la contrattazione collettiva e il dialogo sociale. A cosa abbia portato tale impostazione è ormai sotto gli occhi di tutti. Anni e anni di politica salariale moderata, spesso spinta sino all’austerità salariale vera e propria, hanno portato vantaggi al solo padronato, mentre la classe lavoratrice e i percettori di redditi medio-bassi si confrontano quotidianamente con un netto peggioramento delle condizioni di vita, non compensato da un sistema di welfare sempre meno adeguato a rispondere ai bisogni sociali dei più.
Ecco perché è indispensabile non solo rovesciare il punto di vista del nemico di classe, ma anche dubitare fortemente delle prese di posizioni tardive e contraddittorie. È indispensabile portare avanti pratiche collettive di difesa del potere d’acquisto dei salari e di rilancio dei servizi sociali, depauperati da anni di contenimento della spesa pubblica. Per usare un solo concetto, occorre tornare al conflitto, da sempre principale leva dell’emancipazione delle persone sfruttate e oppresse.
Emiliano Gentili, Stefano Macera, Federico Giusti
[1] Titta Ferraro, I salari crescono e battono l’inflazione. Si riduce la distanza con il resto d’Europa, 27 Luglio 2024, https://www.ilgiornale.it/news/politica/i-salari-crescono-e-battono-linflazione-si-riduce-distanza-2351284.html.
[2] Enrico Marro, Salari reali, nessuno peggio dell’Italia: rispetto al 2008 perso l’8,7% del potere d’acquisto (e in Germania è salito del 15%), 25 Marzo 2025, https://www.corriere.it/economia/lavoro/25_marzo_24/salari-reali-nessuno-peggio-dell-italia-rispetto-al-2008-perso-l-8-7-del-potere-d-acquisto-e-in-germania-e-salito-del-15-8f29fe3d-5c41-4375-a665-48d02a460xlk.shtml.
[3] Rosaria Amato, Fumarola “Siamo autonomi ma il governo è attento al dialogo Il salario minimo impoverisce”, 13 Febbraio 2024, «la Repubblica», https://www.cisl.it/notizie/attualita/siamo-autonomi-ma-il-governo-e-attento-al-dialogo-il-salario-minimo-impoverisce-la-repubblica/.
[4] Rita Querzè, Salario Minimo, i 22 contratti di Cgil, Cisl e Uil sotto i 9 euro lordi, 21 Luglio 2023, https://www.corriere.it/economia/lavoro/23_luglio_21/salario-minimo-22-contratti-cgil-cisl-uil-sotto-9-euro-lordi-infografica-63a0b664-26fc-11ee-8ff1-5e0f92474986.shtml.
nell’immagine: fotografia di Asia